Cina e Bitcoin

Cina e Bitcoin

Ultimamente si parla sempre più spesso di prevedere l’entrata della grande finanza nel settore delle criptovalute, ma si stanno trascurando un po’ troppo dei fattori altrettanto importanti legati al presente di questo mercato e che forse potrebbero smuovere le acque molto prima.
Facciamo un breve riepilogo.
A settembre 2017 la Cina colse il mondo di sorpresa facendo chiudere nel proprio territorio tutti gli Exchanges legati alle criptovalute.
Data l’enormità dei volumi in questione che improvvisamente sembravano non avere più linfa vitale, come al solito la stampa dell’epoca confezionò una sentenza di morte per bitcoin e compagni.
E, come al solito, questa apparente tragedia fece solo il solletico al mercato delle cripto.
Quel breve tratto di mercato laterale fu il solo sussulto innescato dal Governo cinese. Un evento trascurabile nella lunga storia di bitcoin, che tuttavia all’epoca aveva impressionato gli investitori più ingenui e meno preparati.
Dopo sei mesi, infatti, già si notava che i Cinesi avevano ripreso alla grande il trading in criptovalute, mentre, cosa più importante, gli Exchange dati per morti avevano incrementato così tanto le loro attività da scalare la classifica mondiale in base al numero delle transazioni.
E questa situazione è rimasta immutata fino a oggi.
Se infatti vediamo quali sono i mercati migliori per bitcoin in dollari, abbiamo ancora una volta gli exchanges cinesi ai primi posti:
Il primo posto in classifica se lo assicura Binance, l’Exchange nato due mesi prima della grande e inutile purga cinese e che, essendo già a Hong Kong, fu il primo ad accogliere il traffico in fuga dalla Cina continentale.
Poi ci sono Okex e Huobi, dati per spacciati nel 2017 e risorti dopo aver spostato la sede nella solita Hong Kong e che hanno aperto la strada a ZB.Com, di Hong Kong e Simex, di Singapore.
A confronto abbiamo cerchiato di rosso Coinbase, l’Exchange della grande finanza americana di cui tutti parlano, ma che alla fine non sembra ancora essere così influente come si pensa.

La Cina conta piú di Wall Street?

Questo ci fa capire perché la questione dell’entrata dei grandi capitali di Wall Street potrebbe non essere così importante nell’immediato.
Le transazioni legate alla Cina sono talmente rilevanti che qualsiasi evento in grado di smuovere le acque da quelle parti potrebbe finire sui giornali molto prima degli indecisi campioni di Wall Street.
E per la verità, qualcosa di interessante all’orizzonte si sta scorgendo…
La prima grande bolla di bitcoin, scoppiata tra il 2013 e il 2014, è compresa in figura nel primo triangolo a sinistra, che evidenzia, nella fase finale e fortemente ribassista della bolla, una formazione tecnica caratteristica in cui i massimi e i minimi tendono ad avvicinarsi sempre più fino a generare una inversione del ribasso e la ripresa del trend a rialzo di lungo termine.
In pratica, vuol dire che quella bolla non finì in tragedia, ma al contrario generò un mercato rialzista lungo e graduale.
Ora, la stessa formazione a triangolo è stata evidenziata nella seconda grande bolla, scoppiata a fine 2017, di cui oggi apprezziamo ancora la fase finale.
Molti analisti pensano che anche qui, come nel 2014, la fase successiva dopo il forte ribasso sarà un lungo mercato toro, ripetendo lo stesso copione.
Le analogie tra le due bolle, del 2014 e del 2017, sono state già commentate in moltissimi articoli dei magazine specializzati ed è uno degli argomenti più usati da coloro che si aspettano il prossimo mercato toro.
Finora però questa analogia si era basata soprattutto su dati statistici (cioè sull’analisi tecnica e ciclica dei prezzi di bitcoin) a cui al massimo si aggiungeva qualche considerazione relativa al prossimo probabile ingresso dei capitali di Wall Street, come abbiamo già detto.
Nessuno aveva finora individuato una causa economica oggettiva che mettesse in relazione le due bolle.
Infatti, nel 2015 aveva scioccato Wall Street, cioè la svalutazione improvvisa dello yuan decisa dalla Banca Centrale cinese.
All’epoca, i Cinesi effettuarono questa svalutazione all’improvviso, è vero, ma come semplice misura cautelare. Esisteva infatti, ed esiste tuttora, un accordo non scritto tra Cina e USA per cui lo yuan e il dollaro devono sempre andare a “braccetto”, al fine di non turbare il mondo con squilibri valutari troppo appariscenti.
Se perciò gli USA decidono di rivalutare il dollaro contro le altre valute mondiali, la Cina deve a sua volta rivalutare lo yuan contro le valute asiatiche.
Dal momento che nel 2015 i Cinesi erano stati avvertiti del programma USA di rivalutare il dollaro a lungo termine (rivalutazione arrivata fino al 2017), la Banca Centrale si preparò a intraprendere una analoga rivalutazione verso le valute asiatiche, che tuttavia per essere sostenibile aveva bisogno di far partire lo yuan da un punto più basso rispetto a quello in cui si trovava.
Per questo venne effettuata una improvvisa svalutazione, forte, ma di breve termine, in modo che la rivalutazione seguente sarebbe partita dal fondo, diciamo così, per non arrivare troppo in alto nei tempi lunghi.
In seguito, dal 2015 al 2017 il dollaro è andato sempre rivalutandosi sullo yuan e il governo cinese, per evitare un crollo verticale dello yuan, lo ha appunto rivalutato in modo analogo verso le altre valute asiatiche. Il popolo cinese tuttavia aveva altre priorità in mente. Ai Cinesi infatti non importa il cambio dello yuan contro le altre valute asiatiche, ma piuttosto quello dello yuan contro il dollaro.
Per loro, la svalutazione yuan-dollaro comporta una perdita di potere d’acquisto, anche se al contempo lo yuan si rivaluta contro le valute asiatiche.
Ecco perché, a fronte della svalutazione dello yuan di fronte al dollaro durata fino a fine 2016, i Cinesi non hanno fatto altro che cambiare yuan con dollari nel corso dello stesso periodo e anche oltre.
Quell’anno infatti si parlò molto della fuga di capitali cinesi dallo yuan e delle vane misure del Governo per arginarlo.
E si disse anche che uno dei sistemi usati dai Cinesi per eludere i controlli governativi era quello di immettere i propri risparmi nel circuito delle criptovalute.
Ecco perché, subito dopo la grande svalutazione dello yuan del 2015 e per tutto il periodo della pesante svalutazione dello yuan contro il dollaro, la grande fame cinese per bictoin che ha generato la lunga e progressiva fase di rialzo di questa valuta, culminata nella bolla del 2017.
Ora, finalmente si interrompe la salita e inizia una progressiva discesa, indicando che lo yuan si è gradualmente rivalutato sul dollaro, grazie al cambio della politica USA nei confronti della propria valuta.
Se tuttavia, grazie a questo riequilibrio col dollaro, per tutto il 2017 i Cinesi non hanno avuto più l’assillo di preservare il proprio potere d’acquisto, non hanno cessato di incrementare la propria presenza nel mercato delle criptovalute (forse per mancanza di fiducia nella tenuta a lungo termine dello yuan) fino a costringere il Governo a chiudere tutti gli Exchange sul proprio territorio.
Ecco perché, la salita di bitcoin non si è arrestata, ma è anzi sfociata nella bolla del 2017 (generata da molti altri fattori scatenanti che si sono inseriti nel trend cinese sottostante).
Arriviamo così ai giorni nostri, cioè alla fase terminale della bolla, dove a un certo punto della bolla del 2017, notiamo qualcosa di strano. Sembra infatti che in questi ultimi giorni la linea rossa si sia impennata di nuovo.

Cosa è successo?

E’ successo che la Banca Centrale cinese ha deciso all’improvviso una svalutazione dello yuan ancora più forte di quella del 2015.
Ma a differenza del 2015, questa volta la svalutazione non è stata in buona fede e di concerto con la Banca Centrale americana in previsione di una qualche rivalutazione del dollaro.
Questa volta la svalutazione è stata una dura risposta alla guerra commerciale instaurata da Trump contro la Cina.
E anche se quasi tutti gli analisti affermano che la Cina non possa svalutare a lungo lo yuan senza subire contraccolpi nel mercato interno e asiatico, sta di fatto che è arrivata a giocare con Trump le carte più estreme, fra cui la propria stessa valuta.
La Cina non potrà forse intraprendere una svalutazione costante e regolare, ma potrà di certo effettuare altri shock di breve termine che ancora una volta indebolirebbero il potere d’acquisto dei Cinesi.
Come si diceva, questa svalutazione improvvisa si colloca nella fase terminale della bolla di bitcoin proprio come quella del 2015 che comprendeva la bolla precedente.
Ecco quindi che la situazione dello yuan potrebbe fornire un argomento economico concreto alla pura e semplice ipotesi statistica della similitudine fra le due bolle di bitcoin.
In pratica, se il rialzo successivo allo scoppio della bolla del 2014 fu generato dal tentativo dei Cinesi di mettere al sicuro i propri risparmi nel mercato cripto, una situazione quasi uguale potrebbe crearsi nei prossimi mesi, una volta che la guerra commerciale USA-Cina costringerà la Banca Centrale ad altri shock valutari sullo yuan e spingerà conseguentemente i Cinesi a incrementare la loro esposizione nelle criptovalute.
I Cinesi (parliamo del Popolo cinese, non del suo Governo) hanno sempre avuto grande influenza su bitcoin e stanno sostenendo da più di 5 anni questo mercato.
Vale la pena quindi di monitorare molto di più ciò che succede a oriente di bitcoin, mentre tutti i media tradizionali sono concentrati sulla SEC, gli Etf, Wall Street e altre amenità che oggi contano ancora troppo poco.
Anche noi, come molti analisti del settore, prevediamo e attendiamo con ansia il prossimo mercato rialzista delle cripto.
Ma iniziamo a pensare che questo fenomeno potrebbe arrivare dalla Cina, come già è accaduto in passato.

 

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